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«Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14)
Nel nostro cammino quaresimale verso la Pasqua, la seconda domenica della Quaresima ambrosiana ci richiama a prendere coscienza della nostra situazione. Nel nostro esame di coscienza fermiamoci a colloquio con il Signore, parliamo al Signore di noi stessi e della nostra vita. Lasciamo che sia Lui, attraverso la sua Parola, a far luce nel profondo del nostro cuore, lasciamo che sia il Signore a esaminarci, mettendo in evidenza quello che nella nostra vita non collima con la sua legge e quindi va cambiato, proprio come ha fatto con la Samaritana al pozzo.

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«Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per esser tentato dal diavolo» (Mt 4,1)
L’apostolo Paolo applica al cristiano l’immagine dell’atleta che deve impegnarsi nella gara della vita, con “agonismo”. E “agonismo” letteralmente significa capacità di lottare, volontà di scendere in campo, di allenarsi e combattere. Anche il brano evangelico (Matteo 4,1-11) – le tentazioni di Gesù, con cui inizia la Quaresima – ci richiama questa realtà. Si tratta di un vero e proprio duello tra il Signore e il demonio, un duello dal quale Cristo esce vincitore. È una situazione però che si ripropone ad ogni cristiano, perché la sua vita è inevitabilmente una lotta contro il male, contro il peccato.

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“Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»” (Lc 19,8-10).
L’incontro con Gesù cambia il dopo di Zaccheo. Il dono, il perdono, conduce alla risposta del dono, del perdono. Da dono nasce dono, dal perdono viene il perdono. Zaccheo donerà ciò che ha, perché ha sperimentato la misericordia e il perdono. Anche a noi è chiesto di rendere il perdono che abbiamo ricevuto. Renderlo significa anzitutto uscire da noi stessi, abbandonare il nostro egoismo, le nostre vedute che hanno come panorama solo noi stessi e i nostri interessi. Se rimaniamo chiusi in noi stessi, come possiamo incontrare il Signore Gesù, sperimentare la gioia dell’incontro con lui che si fa perdono e diffondere attorno a noi altrettanto perdono? Anche oggi Gesù, come allora a Gerico, cammina per le strade del mondo, questo nostro mondo lacerato dal male, dall’odio, dalla guerra. Ogni persona può incontrarlo, come Zaccheo.
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Mentre stava a tavola in casa di lui [Levi], anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,15-17).
Gesù, proprio perché si fa vicino ad ogni persona, si siede a tavola nella casa di Matteo, condividendo con lui, con i discepoli e con altri, tra i quali molti pubblicani e peccatori, un momento di amicizia. I farisei non rimangono zitti; hanno da ridire su questo fatto, domandando ai discepoli come mai il loro maestro mangia con simili persone. Perché Gesù agisce così? Perché Egli vuol far comprendere che cosa è venuto a compiere, qual è la sua missione: rivelare l’infinita misericordia di Dio, la sua clemenza, il suo amore, e far conoscere la sua predilezione per i più lontani e i più bisognosi di perdono. In concreto, per un cristiano oggi, ciò vuol dire accogliere: come Gesù dobbiamo cercare il dialogo e l’accoglienza verso tutti; dobbiamo anche evitare di giudicare le persone e di condannarle. Nasce così un rapporto personale. Alla fine Gesù ci inviterà alla “sua cena” dove ci darà se stesso, come cibo e bevanda di salvezza.

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1700 ANNI DALLA CELEBRAZIONE DEL CONCILIO DI NICEA
Durante il Giubileo cadrà una ricorrenza molto significativa per tutti i cristiani. Si compiranno, infatti, 1700 anni dalla celebrazione del primo grande Concilio ecumenico, quello di Nicea. [..] Nei primi secoli della fede i Sinodi si moltiplicarono sia nell’Oriente sia nell’Occidente cristiano, mostrando quanto fosse importante custodire l’unità del Popolo di Dio e l’annuncio fedele del Vangelo. [..] L’Anno giubilare potrà essere un’opportunità importante per dare concretezza a questa forma sinodale, che la comunità cristiana avverte oggi come espressione sempre più necessaria per meglio corrispondere all’urgenza dell’evangelizzazione: tutti i battezzati, ognuno con il proprio carisma e ministero, corresponsabili affinché molteplici segni di speranza testimonino la presenza di Dio nel mondo.