Solennità della Dedicazione del Duomo di Milano
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“Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1Cor 3,16-17).
Siamo “campo di Dio”, “edificio di Dio”, “tempio di Dio”, come ci ricorda San Paolo. Questa solennità della Dedicazione è l’occasione per comprendere che la Chiesa è costruita sul “fondamento … che già vi si trova, che è Gesù Cristo”. Non c’è fondamento diverso da Cristo; senza di Lui non esisterebbe la Chiesa. Gesù Cristo l’ha costituita chiamando a sé gli apostoli. Questa solennità è anche un richiamo ad interrogarci sul nostro posto nella Chiesa. Siamo infatti chiamati ad essere ogni giorno Chiesa di Cristo con la nostra fede in Lui, con il nostro amore per gli altri, con la nostra speranza in un futuro di vita. Essere cristiani, essere Chiesa, comunità di coloro che credono in Gesù Cristo, non è possibile senza di Lui.
Settima Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
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“In quel tempo. Il Signore Gesù espose ai suoi discepoli un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò»” (Mt 13, 24-25).
La parabola del buon seme e della zizzania ci parla del regno di Dio, che non si impone con violenza, ma si diffonde liberamente; non annienta le opposizioni, ma coesiste, lottando contro le forze del male, rappresentate dalla zizzania. Vediamo qui all’opera la pazienza di Dio, che fa risaltare l’impazienza delle persone, nella parabola rappresentate dai servi, che vorrebbero porre mano subito all’eliminazione della zizania. Dio invece lascia crescere insieme seme buono e zizzania. Questo è lo stile di Dio e così deve essere lo stile del cristiano. La pazienza di Dio ci deve perciò insegnare ad evitare di essere impazienti con Lui, quasi che la nostra preghiera sia una questione di dare e avere. La pazienza di Dio ci deve insegnare anche ad essere pazienti verso noi stessi e a vivere il nostro rapporto con gli altri vedendo in essi, più che i difetti, ogni più piccolo segno di bene.
Sesta Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
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«Il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Mt 20, 13-16).
La parabola chiede di metterci nella prospettiva di Dio. La spiegazione del modo di agire del padrone sta nel suo voler essere “buono”. Ricordiamo quanto Gesù ha detto un giorno ad un giovane che lo aveva interrogato: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo” (Mc 10,18). Occorre perciò scrutare bene il cuore di Dio, che è buono, per capire meglio la sua misericordia. Perciò il comportamento di Dio, descritto dal comportamento del padrone nella parabola, non manifesta un atteggiamento arbitrario, ma è il gesto di chi è animato dalla bontà, di chi è generoso, di chi è pieno di sensibilità per gli altri.