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Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui” (Gv 2,11)
Le parole con cui si conclude la narrazione delle nozze di Cana ci dicono di non fermarci ad una lettura soltanto descrittiva del prodigio compiuto da Gesù. Nel racconto della festa di nozze non appare mai la parola miracolo. Si parla di segno; quanto compiuto da Gesù è un segno, anzi “l’inizio dei segni compiuti da Gesù”. Un miracolo può sorprendere, per quella innata curiosità da cui l’essere umano è toccato; ma una volta che la curiosità è stata appagata, tutto è finito, non rimane più nulla. Un segno invece è ben altra cosa; è una realtà che manifesta un’altra realtà, più grande, superiore. Ritornando a quanto compiuto da Gesù a Cana di Galilea - l’acqua tramutata in vino -, nasce l’interrogativo circa il messaggio che Egli vuol trasmettere con questo avvenimento: di che cosa è segno? Nel segno dell’acqua trasformata in vino è possibile leggere il modo con cui Gesù si rivela; Egli, nel manifestare all’inizio della sua vita pubblica la sua missione, chiede ai suoi discepoli e ad ogni cristiano la risposta della fede.

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Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»” (Lc 3,16)
L’Epifania di Gesù non si esaurisce nella manifestazione ai Magi; continua nel suo battesimo al fiume Giordano per opera di Giovanni Battista, il più grande dei profeti. La missione di Gesù, che ha inizio al fiume Giordano con il battesimo, è una missione di salvezza e di pace; Egli è venuto a portare la salvezza e la pace, a salvare l’umanità peccatrice, lontana dalla via della salvezza. Giovanni stesso lo annuncia, parlando di un battesimo “in Spirito Santo e fuoco“ da parte di Gesù.

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Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4)
Sono le parole di Paolo della lettera ai Filippesi. In questa stessa lettera c’è il motivo di questa gioia spirituale profonda: Gesù, “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Con l’Incarnazione Gesù è uomo fino in fondo. La storia umana è storia della salvezza perché conduce a Lui. Attraverso la Vergine Maria, Gesù ha assunto la nostra umanità, è entrato nella nostra storia, incarnandosi nel grembo di una donna.

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Venne ad abitare in mezzo “a noi”: la dinamica dell’incontro si fa ancora più specifica, nella sua accezione plurale. Ogni gesto della fede ci apre ad una dimensione più grande del nostro io, che si concretizza nello sguardo ai più vicini, alla nostra comunità di fede e di vita, fino a chi è affidato alla solidarietà dell’umanità intera. La figura di Giovanni Battista mette in luce il rapporto con il Messia, su cui fondiamo la nostra vita comunitaria. Questo “noi” diventa espressione sintetica di altre accezioni più complesse: “creare legami”, “mettere insieme”, “non vivere più per sé stessi”, “coltivare relazioni”, “intrecciare rapporti di bontà”. Il rischio è quello di far restare tutto questo un buon proposito, che si scontra con la nostra incapacità di fidarci, cioè di avere fede.