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“Il pubblicano, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»” (Lc 18,13).
Il pubblicano, ritenuto da tutti un peccatore perché appartenente ad una categoria ritenuta peccatrice, incarna l’umiltà. Il suo è l’atteggiamento fondamentale di chi è posto davanti a Dio e la cui preghiera esprime una profonda partecipazione, con la propria miseria, alla grandezza di Dio. Anche noi, come il pubblicano, siamo peccatori. Il peccato è l’unica cosa che ci caratterizza, come creature, bisognose di tutto, bisognose della misericordia di Dio. Chi potrebbe riconoscersi senza peccato? Chi potrebbe vantarsi di aver sempre corrisposto nel modo migliore possibile ai doni di Dio, alla sua parola, al suo amore? Quest’uomo della parabola evangelica, il pubblicano, “a differenza dell’altro - il fariseo -, tornò a casa sua giustificato”, perdonato, salvato, così dice Gesù. Eppure era un peccatore; nessuno aveva considerazione di lui. La ragione è nelle parole di Gesù: “Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato” (Lc 18,14). L’umiltà di quest’uomo lo ha condotto a riconoscere la grandezza di Dio e, di contro, la sua miseria, il suo peccato.

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46A GIORNATA PER LA VITA
«La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36)»
DAL MESSAGGIO DEI VESCOVI ITALIANI.
Sono numerose le circostanze in cui si è incapaci di riconoscere il valore della vita tanto che, per tutta una serie di ragioni, si decide di metterle fine o si tollera che venga messa a repentaglio. […] Tante sono dunque le “vite negate”, cui la nostra società preclude di fatto la possibilità di esistere o la pari dignità con quelle delle altre persone. Eppure, se si è capaci di superare visioni ideologiche, appare evidente che ciascuna vita, anche quella più segnata da limiti, ha un immenso valore ed è capace di donare qualcosa agli altri. Le tante storie di persone giudicate insignificanti o inferiori che hanno invece saputo diventare punti di riferimento o addirittura raggiungere un sorprendente successo stanno a dimostrare che nessuna vita va mai discriminata, violentata o eliminata in ragione di qualsivoglia considerazione. […] La vita, ogni vita, se la guardiamo con occhi limpidi e sinceri, si rivela un dono prezioso e possiede una stupefacente capacità di resilienza per fronteggiare limiti e problemi.

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“I genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendeva-no la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero” (Lc 2,41-43).
La Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe ha molto da dire oggi a noi, alle nostre famiglie, alla nostra società sempre più secolarizzata, che, allentando o troncando il rapporto con Dio, compromette anche i rapporti umani. Anche nella famiglia di Gesù ci sono stati momenti di difficoltà, uno dei quali è stato lo smarrimento di Gesù nel tempio. Nei momenti difficili, in cui sembra che Dio ci abbia abbandonati, in cui sperimentiamo l’assenza di Dio, ci viene in aiuto l’esempio di Maria, la madre di Gesù. Alla domanda an-gosciata di Maria a Gesù: “Figlio, perché ci ha hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercava-mo”, fa seguito la risposta di Gesù: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. È la risposta che Gesù ripete anche a noi, quando temiamo di averlo perso, perché non lo sentiamo presente nella vita nostra e della nostra famiglia. Maria è dunque per noi una risposta con-creta, un modello di comportamento ogni volta che ci sembra di aver perso Dio e di cercarlo senza riusci-re a trovarlo. Come a sua Madre, così Gesù anche a noi risponde che non conosciamo le sue strade, né le strade e i progetti del Padre, e che solo rimanendo fedeli a Lui potremo scoprirli..

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Gesù “dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla” (Mt 14,19).
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è manifestazione di Gesù e della sua volontà di salvarci. Egli si prende a cuore ogni situazione umana, con le sue esigenze e le sue necessità. Lo fa con il pane materiale, come ci narra il Vangelo di oggi. Ma questo segno allude ad un gesto ancora più grande, l’Eucaristia, di cui la moltiplicazione dei pani è simbolo. L’Eucaristia è il cibo spirituale di cui abbiamo bisogno. E dire cibo spirituale non significa dire che è un qualcosa in più, di cui si può fare anche a meno, perché che conta è solo il cibo materiale, le cose che si possiedono e che ci permettono di vivere. Non ci sono solo le cose materiali. E neppure sono le più importanti. La nostra vita, senza questo cibo spirituale, l’Eucaristia, diventa arida, sterile, non cresce, muore...

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“Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11).
La gloria di Dio giunge ad esprimersi in occasione della celebrazione di un matrimonio, quello di Cana, al quale partecipa Gesù con Maria, sua madre, e i suoi discepoli. Ogni matrimonio è profondamente legato alla vita umana, ad un uomo e una donna che decidono di realizzare il progetto di amore che Dio ha su di loro. Ora, la gloria di Dio si manifesta là dove la vita delle persone si esprime al meglio: ad esempio nella gioia e nella festa di un matrimonio. Con il mistero dell’incarnazione del suo Figlio Gesù, Dio ha manifestato la sua gloria facendosi uno di noi, si è inserito nella profondità della nostra vita e della nostra gioia. Il Signore Gesù sa apprezzare le nostre gioie più semplici e familiari. Il segno dell’acqua cambiata in vino manifesta la partecipazione alle gioie della vita umana. La gloria di Dio perciò si manifesta anche nelle cose più semplici della vita.