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“Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29).
Gesù ci chiama a sé, non solo per farci conoscere chi è Lui, ma anche per poter imparare da Lui: la mitezza e l’umiltà. Può sembrare che Gesù sia uno che non sa farsi valere; viene infatti per sconfiggere il male, ma sembra avere una voce così debole che il male può soffocarla; viene per combattere l’ingiustizia, ma sembra che questa prevalga. La mitezza però non è arrendevolezza, tant’è che Gesù giunge a scacciare i venditori dal tempio. La mitezza va di pari passo con l’umiltà e la carità. L’umiltà è parte di un cammino in cui ci si sforza di vivere nell’amore. Questo sforzo ha la sua ragione nell’essere discepoli di Gesù, nel seguire il suo esempio. Se sappiamo imitare Gesù mite e umile di cuore, ogni presunzione sparisce; da Lui siamo rinfrancati: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò” (Mt 11, 28).

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"Il Signore Gesù disse alla folla: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce»" (Gv 12,35-36a).
Nonostante che la nostra fiducia in Dio non sia sempre costante, Gesù sa aspettare con infinita pazienza e ci ripete: “Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”. La luce è Gesù, che è “venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede” in Lui “non rimanga nelle tenebre”, cioè le tenebre del peccato, le tenebre dell’ignoranza, le tenebre dell’errore. Chi non camminerebbe nella luce, sapendo che al buio può sbagliare strada, può inciampare? Camminare nella luce significa credere in Gesù, fidarsi di Lui, fidarsi del patto che ci propone, dell’alleanza tra Lui e noi. La fede non è credere in qualcosa, ma la fede è accogliere Gesù, Figlio di Dio. Ed è una fede che non nasce da segni, da miracoli, ma dalla sua Parola. Certo, di fronte a questa Parola c’è una risposta da dare: è la risposta dell’ascolto, dell’osservanza della sua parola, è la risposta della fede. Non lasciamo perciò cadere l’appello di Gesù a credere in Lui, a fidarci di Lui, ad affidarci a Lui! È questa la via della salvezza, per giungere ad avere la vita eterna.

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“Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire»” (Mt 22,1-3).
La parabola degli invitati alle nozze è immagine dell’invito che il Signore, allora come oggi, rivolge a tutti per entrare nel suo regno, cioè per partecipare del dono della salvezza. Ma, purtroppo, a volte gli invitati rifiutano. In questa parabola di Gesù possiamo leggere la storia della salvezza; è una salvezza che trova ostacoli nel giungere a tutti: non certo però per colpa di chi salva, ma di chi è destinatario della salvezza. La salvezza non è automatica, richiede attenzione, accoglienza, collaborazione e responsabilità. Questo invito insistente di Dio è per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. Nessuno può presentare scuse per non sentirsi interpellato. Anche se si è “poveri, storpi, ciechi, zoppi”, non si può dire: “Dio non mi chiama”. Dio invece non può non chiamare tutti, perché Egli ama tutti. La nostra stessa vita è segno del suo amore. Eppure, di fronte ad un amore così grande, così disinteressato e gratuito, l’umanità spesso oppone il suo rifiuto. Accogliamo dunque l’invito del re per partecipare alla festa di nozze: è l’invito ad avere parte alla gioia del regno di Dio.

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“Il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo” (Gen 2,21-22).
Nel racconto della creazione è descritto Dio che plasma l’uomo con la polvere della terra; poi pianta un giardino, fa germogliare le piante e crea gli animali; infine decide di togliere una costola dal fianco dell’uomo per plasmare così la donna dalla carne dell’uomo. Sono immagini che ci portano ad una domanda fondamentale: per quale motivo Dio ha deciso tutto questo? La risposta è nelle parole di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. È con la creazione della donna, tratta dalla sua stessa carne, che l’uomo trova “un aiuto che gli corrisponda”, una persona come lui: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne”. La Parola di Dio ci dice perciò l’intenzione creatrice di Dio: la relazione umana tra uomo e donna è per principio la relazione che realizza pienamente la vita delle persone.

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SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO
Gesù, “mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti»” (Mc 14,22-24).
“L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino. Egli istituì l’Eucaristia nell'ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre. L’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini” (Dalle «Opere» di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa).